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Studiò il violino, compose brani di musica da camera e l'"Ouverture" di un'opera, leggeva e interpretava i miti come una partitura d'orchestra: la musica fu una presenza costante nella vita di Lévi-Strauss. Non era una semplice passione privata, o un interesse coltivato ai margini della riflessione teorica. Il grande antropologo francese si servì della musica come di un dispositivo metodologico per penetrare le strutture del mito e della società. "In quanto linguaggio insieme intelligibile e intraducibile" scrive ne "Il crudo e il cotto" "la musica costituisce il supremo mistero delle scienze dell'uomo, quello contro il quale esse s'imbattono, e che costituisce la chiave del loro progresso." E proprio nelle relazioni omologhe tra musica e mito, Lévi-Strauss trova un motivo fondamentale di tutta la sua ricerca. Per Jean-Jacques Nattiez, musicologo e pioniere dell'etnomusicologia, è un impegno ormai irrinunciabile quello di riesaminare le concezioni estetiche e musicali di Lévi-Strauss, all'interno di un sistema di confronti e di analogie tra linguaggio, mito e musica. Questo impegno viene assolto per la prima volta in Lévi-Strauss musicista, un'opera che, ricostruendo la traiettoria intellettuale del fondatore dello strutturalismo antropologico, perviene a una riflessione globale sui rapporti tra scienza e arte, e sugli sviluppi delle scienze umane in generale.